mercoledì 2 dicembre 2009

Chiesa: gay, lesbiche, trans all'inferno

L'Arcivescovo Caffarra e il Cardinale Lozano Barragan contro la comunità lgbt: sono diversi e così vanno trattati.

Mentre la comunità lgbt italiana si destreggia tra campagne contro l'omofobia strutturate male (leggi qui e qui), diritti civili e violenze omofobe continue, la Chiesa alza la voce e si fa sentire.
Prima l'Arcivescovo di Bologna Caffarra dichiara pubblicamente che non bisogna trattare i gay come tutti gli altri rispetto ai diritti riconosciuti alle coppie eterosessuali. Soprattuto ha definito il progetto di legge della Regione EmilaRomagna che equipara la famiglia e le unioni di fatto nell’accesso ai servizi sociali, un progetto devastante. Per l'Arcivescovo infatti la legge avrebbe effetti devastanti sul tessuto sociale e sarebbe un attentato alle clausole fondamentali del patto di cittadinanza.
Poi arrivano le considerazioni del cardinale messicano Javier Lozano Barragan, che sul sito www.pontifex.roma.it si scaglia prima contro la RU486 e poi contro gay e trans chenon potranno mai entrare nel Regno dei Cieli.

Il presidente emerito del Pontificio Consiglio per gli operatori sanitari, Pastorale per la salute, insiste poi nell’affermare che non si nasce omosessuali, che la causadel proprio orientamento sessuale la si deve cercare nell’educazione, in un mancato sviluppo dell’adolescenza.


Si può pertanto anche esser incolpevoli, ma poichè gay e trans agiscono contro la dignità del corpo, certamente non andranno in paradiso, perché andare contro natura offende Dio.
E davanti a queste affermazioni non può stupire la pungente reazione di Aurelio Mancuso, presidente di Arcigay Nazionale, che dice: "Che sollievo cardinale! Fino a ieri pensavamo di dovervi ritrovare, una volta passati a miglior vita, nell’aldilà, ancora con i vostri proclami accusatori e le vostre ridicole teorie sulla sessualità e la dignità delle persone."


lunedì 30 novembre 2009

Aids: le colpe della Chiesa


Il Papa: "la Chiesa combatte l'Aids". Replica di Sergio Rovasio: le uniche armi contro il virus sono il preservativo e l'informazione.

Di seguito si riporta la dichiarazione di Sergio Rovasio, Segretario dell'Associazione Radicale Certi Diritti in merito all'affermazione di Papa Benedetto XVI sui presunti merito della Chiesa nella lotta all'Aids.

"Quello che ha detto oggi il Papa in occasione della giornata mondiale contro l’Aids ha dell’incredibile. Non comprendiamo come sia possibile sostenere che ‘la chiesa non cessa di prodigarsi per combattere l’Aids’ quando lo stesso Papa, in occasione del suo viaggio in Africa nel marzo 2009, ebbe a dire che “l’Aids non si può superare con la distribuzione dei preservativi che al contrario aumentano il problema”. Tesi antiscientifica, ispirata al credo religioso e che semmai avrà di già aggravato una situazione di emergenza della malattia che ha ucciso in Africa dai primi anni ’80 ad oggi più di 25 milioni di persone, principalmente nella zona sub-sahariana. Sono almeno 22,5 milioni le persone che vivono contagiate dal virus HIV in quella zona. Quasi nessuno in Italia avrà il coraggio di sottolineare questa grave contraddizione vaticana che si riverbera sulla nostra classe politica con conseguenze disastrose nella società. La totale mancanza di informazione ed educazione sessuale, così come la mancata pronuncia della parola ‘preservativo’ nelle tv e nelle scuole italiane, dimostra la miseria e la studipidità che ci circonda e che permette al virus dell’Aids di diffondersi.

E’ forse bene ricordare che in Italia ci sono tra le 150 e le 180.000 persone sieropositive, 22.000 persone con Aids conclamato e che fino ad oggi sono morte per il virus quasi 35.000 persone. Ovviamente non è in corso nessuna campagna nazionale sul preservativo, l’unico strumento che oltre all’informazione combatte quasi al 100% il virus. Ci auguriamo che prima o poi venga “quantificato” il danno prodotto da proclami e tesi antiscientifiche, ispirate da un credo religioso, che alimentano la diffusione del virus dell’Aids in Africa e nel mondo. Altro che lotta all’Aids. E’ bene ricordare tutto questo in occasione della giornata mondiale della lotta contro l’Aids, giusto per non essere complici dell’ipocrisia che sembra essere diventata la vera bibbia nel nostro paese”.

venerdì 20 novembre 2009

Che religione seguire? Fai il test!

Preti gay: un sito smaschera l'omosessualità sotto la tonaca

'Il silenzio è peccato': così recita l'homepage del sito per smascherare l'ipocrisia della Chiesa: segnalando i sacerdoti gay che nascondono la propria omosessualità sotto l'omertà della tonaca.

Dire basta all'ipocrisia della Chiesa, che condanna le unioni gay; basta con il silenzio omertoso dei sacerdoti che nascondono la propria omosessualità e si scagliano dal pulpito contro la comunità lgbt. In risposta al ricatto dell'Arcidiocesi Cattolica Statunitense, che minacciava di sospendere le proprie attività sociali se lo Stato avesse riconosciuto le unioni gay, è stato creato il sito Churchoutung.org, per spingere coloro che sono a conoscenza dell'omosessualità nascosta di un prete a farsi avanti e condividere la propria storia. "Questo sito è nato per dare a voi la possibilità di salvare la gioventù lgbt dall'ipocrisia di quei preti dell'Arcidiocesi di Washington che sono socialmente, romanticamente o sessualmente omosessuali attivi, ma che tacciono nel momento in cui l'Arcivescovo Wueri e la Conferenza Vescovi Cattolici fomentano la propria guerra ideologica contro la famiglia omosessuale", recita l'homage del sito web, che vuole "porre fine a una Chiesa Cattolica che per generazioni ha detto alla gioventù lgbt di vergognarsi di chi siamo, di condurre vite senza amore e di abominio, e porre fine all'abuso emotivo, psicologico e spirituale perpetrato dai preti cattolici e dalla gerarchia ecclesiastica".
La vera vergogna è il silenzio.

Chiesa: i gay ci manderanno all'Inferno

Povertà? Bambini soldato? Fame nel mondo? Pensate che siano questi i peccati della nostra società? Sbagliato. Secondo la Chiesa l'omosessualità e le unione gay ci porteranno all'Inferno.

Una lettera della Conferenza dei vescovi cattolici Usa ha finalmente fatto luce sui veri rischi dell'umanità. Povertà? capitalismo sfrenato? Inquinamento? Droghe? Mancanza di istruzione? Niente di tutto questo. Il nostro tessuto sociale è minacciato dai gay e dalle loro relazioni affettive che, assieme a coabitazione e divorzio, alterano in vari modi la struttura sociale. Tali relazioni minacciano ogni persona, non solo nei livelli fondamentali del bene degli sposi e dei figli, ma sono
 una minaccia per la dignità di ogni persona e per il bene comune, compresi i livelli di educazione, di avanzamento culturale e di libertà religiosa. Riconoscere le unioni gay significa togliere giusitizia alle coppie sposate e ai loro figli e al cammino che guida loro verso la maturità sessuale. Non c'è che dire. Se fosse stata scritta da un comune cittadino, si sarebbero allertati i servizi di salute psichiatrica. Ma il fatto che venga dalla conferenza episcopale fa capire due cose. Una è il livello di odio omofobico di cui sono impregnati gli uomini della chiesa cattolica (e questo si riconosce dai toni usati in una lettera rivolta a tutti).

Secondo è la capacità di fare del male a una minoranza del paese. Non serve ricordare il paragone degli ebrei nel nazismo, ma questa incitazione all'odio produrrà e giustificherà solo violenza verso gay e lesbiche che, fino a prova contraria, sono cittadini di serie A come gli altri. L'unico pericolo che i gay pongono alla società è proprio verso gli immotivati privilegi economici e superstizioni ideologiche di cui la chiesa cattolica è immeritata destinataria. Con l'unica differenza che il movimento glbt usa la razionalità e la legge per parlare alla gente, mentre la chiesa cattolica usa ormai l'odio e la paura su basi religiose per mantenere i propri privilegi storici.

mercoledì 11 novembre 2009

Indagine UE: Italia prima contro i gay

Un'indagine condotta dall'Unione Europea ha dimostrato che l'Italia è uno dei paesi che più si distingue per la discriminazione a sfondo sessuale.

L'Unione Europea ha affidato a Eurobarometro il compito di condurre delle intervisteper comprendere la percezione e le maggiori cause di discriminazione all'interno dei paesi dell'UE.
Dopo 26.000 interviste condotte in 27 Paesi dell'Unione piu' Croazia, Macedonia e Turchia, è risultato che in Italia, come in Europa, la prima causa di discriminazione è quella di origine etnica: lo ha indicato il 58% degli intervistati, ribaltando il risultato dell'indagine 2008, quando il 52% del campione aveva espresso un'opinione esattamente contraria.
In Italia a dichiarare che il pregiudizio legato all'etnia è fonte di discriminazione è stato il71% degli intervistati, altri paesi però hanno medie ben più alte della nostra come l'Olanda (80%), la Francia (79%), la Svezia (78%) e la Danimarca (77%).
Il nostro paese però si distingue per la discriminazione contro l'orientamento sessuale.
L'omosessualità in Italia è fonte di discriminazione per il 61% della popolazione, rispetto a una media europea del 47%, così come in Francia e alle spalle di Cipro (66%) e Grecia (64%).
"La discriminazione e' un problema in tutta Europa e il modo in cui la gente lo percepisce e' sostanzialmente stabile rispetto allo scorso anno", ha osservato il commissario UE per le pari opportunità Vladimir Spidla. "Un aspetto preoccupante - conclude - e' la percezione che, a causa della recessione, la discriminazione dovuta all'età stia aumentando" per quanto riguarda la possibilità di lavorare.

L'Islam dice sì all'omosessualita'

Il Consiglio degli Ulema islamici moderati si apre alla tolleranza: i gay non siano esclusi dall'Islam.

Il Consiglio degli Ulema (i "saggi", la massima autorità religiosa e legale dell'Islam) apre la strada della tolleranza. Nel corso di una conferenza organizzata dall'associazione non governativa Arus Pelangi, diversi studiosi islamici moderati (soprattutto appartenenti all'area indonesiana) hanno dato forti segnali di apertura nei confronti dell'omosessualità. "No c'è differenza tra lesbiche e eterosesuali. Agli occhi di Dio, le persone sono valutate in base alla pietà.
E giudicare la pietà è una prerogativa di Dio. L'essenza della religione è il rispetto e la dignità degli esseri umani" ha dichiarato il dotto Siti Musdah Mulia. Altre voci meno illuminate si sono levate dalle fila conservatrici. Tuttavia questo resta un primo passo fondamentale nel cammino per sanare il gap tra omosessualità e religione.

mercoledì 4 novembre 2009

Lettera aperta alla conduttrice e agli autori del Grande Fratello. "A 10 anni dalla vostra prima edizione non siete riusciti a me

L’Arcobaleno gay, la bandiera rainbow che contraddistingue in tutto il mondo la comunità lgbt (lesbica, gay, bisessuale e transessuale) ha sei colori. Non è un caso, perché tante sono le sfaccettature nella nostra comunità e tutte hanno piena cittadinanza e devono avere pari considerazione. Anzi, ce ne sono alcune che soffrono più altre la discriminazione, e queste vanno di più tutelate e va data loro voce.

La scelta che avevate fatto quest'anno di fare finalmente entrare una persona dichiaratamente gay al Grande Fratello vi faceva onore, perché alla vostra decima edizione avevate avuto tutte le anime della nostra comunità (bisessuale, lesbica, trans ftm, trans mtf), ma mai quella delle persone dichiaratamente gay.

Maicol è probabilmente una straordinaria persona, ma non rappresenta, nonostante tutto, una vera novità né la gran parte dei gay di questo Paese. Anzi. Maicol ha dichiarato, a pochi giorni dal suo ingresso nella casa, che: "Un gay è differente da una persona che si sente donna. Io mi sento da sempre una donna imprigionata nel corpo di un uomo. Il gay è uomo. E' un'altra cosa". Affermazioni così, non le sentirete mai pronunciare da un omosessuale - cioè una persona che in un corpo maschile si sente perfettamente a suo agio - ma da persone transessuali o transgender, da tutti coloro, cioè, che hanno un' identità sessuale in contrasto col sesso di appartenenza (la psicologia la chiama “disforia di genere” ): che poi sia un contrasto risolto tramite un percorso e una o più operazioni chirurgiche, più o meno pesanti, più o meno invasive, o non risolto ma vissuto nella quotidianità, come capita felicemente a molti, poco importa.

Non è un caso che, con tutto il rispetto, le immagini di Maicol nella casa del GF che vengono riprese da trasmissioni come Blob, sono associate alle figure macchiettistiche rappresentate in film come "Il vizietto" o, peggio, in film del cinema italiano degli anni '80 in cui nessuna distinzione si faceva tra trans, gay, lesbiche ma bastava, per fare cassetta, vestire un uomo da donna, truccarlo nel modo più vistoso possibile e farne oggetto di scherno. E non stiamo dicendo che Maicol è, in qualche modo, inadeguato, anzi. Lo è in quanto rappresenta se stesso e lo dimostra l'altissimo indice di gradimento che ha ottenuto. Vogliamo solo che si eviti di far pensare al pubblico che rappresenta le persone gay, come invece sta accadendo.

Insomma, a dieci anni dalla vostra prima edizione, non siete riusciti a mettere dentro un omosessuale come ce ne sono tanti: belli o brutti, un po’ effeminati o maschilissimi, glabri o pelosi, cresciuti con le automobiline o giocando coi ferri da calza della mamma, giocatori di pallavolo o di rugby, parrucchieri o operai stradali, ma omosessuali dichiarati, che vivono la loro vita alla luce del sole. Insomma, l'omosessuale della porta accanto. Sarebbe forse troppo rivoluzionario? Scardinerebbe molto di più convinzioni e tabù? Sconvolgerebbe molto di più? Farebbe chiedere a troppe persone: ma se fosse mio figlio gay? O un mio parente?

E' l'amico Fabio Canino ad avermi rivelato un recente episodio delGrande Fratello spagnolo che ce la dice lunga: in una lite un concorrete di provenienza argentina ha "osato" dare del "maricon", del finocchio, ad un altro concorrente, nel corso di una lite. Quando questi è uscito, la presentatrice lo ha severamente redarguito, ricordandogli che in Spagnaerano anni che lei non sentiva quella parola usata come insulto. Quanto siamo distanti dalla Spagna? E quanta responsabilità abbiamo noi che facciamo informazione, a far sì che quella distanza non diminuisca ma anzi aumenti, come le vicende di omofobia degli ultimi mesi ci dicono?

Noi viviamo tranquillamente senza una nostra rappresentazione dentro la casa del Grande Fratello, per carità. Ma dopo qualche centinaio di lettere dei nostri visitatori e accesi interventi nei forum, dopo le dichiarazioni chiarificatrici del simpaticissimo Maicol e dopo che abbiamo considerato che, nel bene e nel male, voi siete forse la trasmissione della televisione italiana più seguita, non possiamo non essere delusi dal fatto che mancano ancora dei colori dell'arcobaleno tra i concorrenti, nonostante i vostri buoni propositi. Il vincitore della passata edizione, Ferdi, proprio al nostro portale rilasciò un'intervista nella quale dichiarava di ritenere le persone omosessuali contrarie alla natura e alla parola della Bibbia. Ognuno è libero di esprimere il proprio pensiero, ma se davvero ci tenete a far crescere l’Italia sui temi dell’integrazione, del rispetto e della tolleranza, come avete ripetuto più volte e come avete dimostrato dando voce ad una Italia dalle mille facce, multietnica e multiculturale, dateci una mano: avete ancora una rosa di nuovi concorrenti da fare entrare. L’Italia di questi ultimi mesi, con l’ondata diomofobia dilagante, con le sue coltellate, i suoi pestaggi e il bullismo nelle scuole e con una politica che non sa dare risposte, è lì a dimostrare che ce n’è bisogno.


Alessio De Giorgi
Direttore di Gay.it

De Giorgi di Gay.it: 'Maicol non ci rappresenta'. Lettera aperta


ll direttore di Gay.it Alessio De Giorgi scrive una lettera aperta al Grande Fratello, ad Alessia Marcuzzi, agli autori Mediaset e a tutta l'Italia: 'Maicol non ci rappresenta'. La vera rivoluzione è il gay della porta accanto.

Di seguito riportiamo la lettera aperta del direttore di Gay.it Alessio De Giorgisulla scelta di Maicol Berti come concorrente del Grande Fratello; scelta che ha suscitato forti polemiche e indignazione oltre che spunti per una riflessione più profonda su cosa significhi essere omosessuali in Italia. Questo dunque il punto di vista di De Giorgi: "Maicol non ci rappresenta".

A dieci anni dalla prima edizione del Grande Fratello manca all'appello, almeno per il momento, un concorrente dichiaratamente omosessuale. L'osservazione parte dalle pagine del portale Gay.it dove, con una lettera aperta, il direttore Alessio De Giorgi si dice deluso dalla scelta di escludere ancora il mondo gay «dal programma probabilmente più seguito della televisione». Nell'appello rivolto agli autori del reality show e alla conduttrice Alessia Marcuzzi, De Giorgi spiega che Maicol Berti «rappresenta solo uno dei sei colori della bandiera arcobaleno, simbolo universale del movimento lgbt (lesbico, gay, bisex, transgender)», così come il transessuale Gabriele o prima ancora la lesbica Siria e la transessuale Silvia. «Maicol - si legge nella lettera - ha un' identità sessuale in contrasto col sesso di appartenenza: che poi sia un contrasto risolto tramite un percorso e una o più operazioni chirurgiche, più o meno pesanti, più o meno invasive, o non risolto ma vissuto nella quotidianità, come capita felicemente a molti, poco importa». E' stato lo stesso ragazzo a confessarlo agli altri concorrenti con affermazioni che - afferma De Giorgi -, «non sentirete mai pronunciare da un omosessuale».
«Insomma, a dieci anni dalla vostra prima edizione - dice il direttore del portale gay -, non siete riusciti a mettere dentro un omosessuale come ce ne sono tanti: belli o brutti, un po’ effeminati o maschissimi, glabri o pelosi, cresciuti con le automobiline o giocando coi ferri da calza della mamma, giocatori di pallavolo o di rugby, parrucchieri o operai stradali, ma omosessuali dichiarati, che vivono la loro vita alla luce del sole. Insomma, l'omosessuale della porta accanto. Sarebbe forse troppo rivoluzionario? Scardinerebbe molto di più convinzioni e tabù? Sconvolgerebbe molto di più? Farebbe chiedere a troppe persone: ma se fosse mio figlio gay? O un mio parente?». «Noi viviamo tranquillamente senza una nostra rappresentazione dentro la casa del Grande Fratello», conclude De Giorgi, che però ricorda che "Il vincitore della passata edizione, Ferdi, proprio al nostro portale rilasciò un'intervista nella quale dichiarava di ritenere le persone omosessuali contrarie alla natura e alla parola della Bibbia". Per dimostrare che davvero "ci tenete a far crescere l’Italia sui temi dell’integrazione, del rispetto e della tolleranza, come avete ripetuto più volte volte e come avete dimostrato dando voce ad una Italia dalle mille facce, multietnica e multiculturale", conclude De Giorgi, «avete ancora una rosa di nuovi concorrenti da fare entrare. L’Italia di questi ultimi mesi, con l’ondata di omofobia dilagante, è lì a dimostrare che ce n’è bisogno». La lettera di Alessio De Giorgi è reperibile anche sul sito Gay.it QUI

lunedì 2 novembre 2009

Omosessualita` e Psicoterapie: Vittorio Lingiardi sviscera omofobia e terapie riparative.


Sabato 7 novembre presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma (Viale Castro Pretorio 105), la II Scuola di Specializzazione in Psicologia Clinica e Facoltà di Psicologia 1 (Università Sapienza di Roma) presenta il convegno internazionale ‘Omosessualità e Psicoterapie’. ( Vai alla locandina>> )

Cosa deve fare lo psicologo quando viene consultato da una persona omosessuale che crede che l’omosessualità sia un “errore”, una “malattia” o un “disordine morale” e per questo chiede di essere “curata” e aiutata a “cambiare” il proprio orientamento sessuale? Su questo argomento si gioca una partita clinica, scientifica e deontologica di enorme importanza. Depennata dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM) da più di vent’anni, l’“omosessualità egodistonica” (cioè il disagio marcato e persistente riguardo al proprio orientamento omosessuale) torna oggi alla ribalta in seguito al diffondersi delle cosiddette “terapie riparative”, della cui efficacia non esiste però un’adeguata documentazione scientifica. Abbiamo chiamato psicologi e psichiatri, italiani e stranieri, a ragionare su questo tema e a presentare le loro ricerche, nella speranza di fare chiarezza sulle caratteristiche del percorso evolutivo delle persone gay e lesbiche, e sulle conseguenze dell’interiorizzazione dei pregiudizi antiomosessuali. “Omofobia sociale”, “omofobia interiorizzata”, “identità”, “valori”, “minority stress”, “benessere psicologico” saranno le parole chiave di questa giornata di studio.

Partecipano al convegno Annie Bartlett, Francesco Bilotta, Tonino Cantelmi, Franco Del Corno, Jack Drescher, Vittorio Lingiardi, Paolo Migone, Gustavo Pietropolli Charmet, Paolo Rigliano, Annamaria Speranza, Paolo Valerio.

NTERVISTA

Da anni l'omosessualità è stata depennata dalla liste delle cosiddette "patologie mentali", eppure negli ultimi anni si assiste al ritorno delle "terapie riparative" per curare gay e lesbiche come fossero malati. Perché questo "passo indietro"?
Perché nonostante i mutamenti culturali per molti l’omosessualità continua ad essere una condizione indesiderabile. Per alcuni rappresenta un problema morale o religioso, per altri un problema politico e sociale; e naturalmente per molti un problema psicologico e relazionale. E quando c’è un problema, si cerca la soluzione. Le terapie riparative (lo dice il nome stesso: c’è qualcosa di rotto che va riparato) sono un tentativo di “risolvere” il problema omosessuale. Alla base delle “terapie riparative”, dunque, troviamo uno sguardo negativo, patologizzante, nei confronti dell’omosessualità. Non mi stupisce che vi siano persone omosessuali che non si accettano e sognano una vita eterosessuale. Mi stupisce che vi siano medici e psicologi che “promettono” questa possibilità di cambiamento. È chiaro che siamo alle prese con quel fenomeno, oggi all’apice di un triste successo mediatico, che va sotto il nome di “omofobia”. Un termine che ormai ha conquistato un suo spazio nel mercato delle parole, ma che personalmente continuo a considerare riduttivo, poiché concentra tutta l’attenzione sulla dimensione psicologica e individuale – la fobia, appunto – trascurando le componenti culturali e le radici sociali dell’avversione nei confronti delle persone omosessuali e dell’idea stessa di omosessualità. In altre parole, molti comportamenti e affermazioni comunemente considerati omofobici non sono principalmente basati sulla paura o l’imbarazzo, ma piuttosto sul pregiudizio e la disapprovazione. È bene però ricordare che le pratiche “riparative” o di riconversione dell’orientamento sessuale non pescano solo nell’omofobia (o nell’eterofilia) di chi le promuove, ma anche in quella di chi le richiede. Parlo dell’omofobia interiorizzata, cioè di quel groviglio di idee e di affetti che porta una persona omosessuale a non accettarsi, provare vergogna di sé, disprezzarsi o, più semplicemente, sentirsi “senza le carte in regola”, convinti di non poter mai essere felice. È da qui che prende le mosse la domanda di “terapia riparativa”.
Si tratta insomma di una variante della vecchia diagnosi di “omosessualità egodistonica”, dove però l’elemento problematico riguarda la egodistonia, non l’omosessualità. Questa almeno la considerazione che, nel 1987, portò l’American Psychiatric Association ad eleminare questa diagnosi dal Manuale Diagnostico e Statistico delle Malattie Mentali (DSM), dopo aver già derubricato, nel 1973, l’omosessualità egosintonica (cioè quella accettata dal soggetto).

Quali possono essere i motivi (sociali, psicologici, ambientali) che stanno alla base dell'ondata di omofobia e degli episodi di violenza che hanno caratterizzato la cronaca italiana degli ultimi mesi?
Purtroppo l’omofobia è nel DNA della nostra cultura. Non ho bisogno di ripercorrere la storia delle persecuzioni nei confronti delle persone omosessuali. L’aspetto di novità, oggi, credo vada ricondotto a una risposta reattivamente violenta a quella che chiamerei l’inevitabile afferamazione civile delle realtà omosessuali. Mi spiego meglio: se in passato, lo “scandalo” era la “devianza” omosessuale, oggi ciò che preoccupa e spaventa, fino all’odio, è la possibilità di una normalità omosessuale e della sua realizzazione affettiva, persino familiare. Oggi l’omofobo sembra voler punire chi si permette di far parte del tessuto sociale. Il problema, dunque, è la cittadinanza – come spiego nel mio libro Citizen gay. Quando riconosciuti, dunque colpevoli della loro visibilità, gli omosessuali sono stati discriminati, vittimizzati, bruciati, rinchiusi nei lager, mandati al confino. Oggi, dice qualcuno, di cosa si lamentano? Sono celebrati dal cinema e dalla letteratura, potenti costruttori di estetiche di massa, padroni di riviste, di locali, perfino di strade, del suolo “pubblico”. Ma tutto questo non serve ad attenuare l’odio. Anzi, può fomentarlo. Se ci interroghiamo su questa nuova-vecchia omofobia, troveremo le sue radici nella paura ancestrale di un mondo che non si riproduce (sillogismo menzognero, come se le lesbiche e i gay non fossero fecondi, e madri e padri), nei fantasmi intollerabili, già riconosciuti dall’ultimo Freud, della passività maschile e dell’attività femminile (“versatile” è la nuova parola inquietante delle sessualità), e naturalmente nella paura trasformata in odio (spesso affascinato, forse invidioso) per ciò che viene percepito come diverso e/o straniero. Ma di sicuro ciò che gli omofobi (siano essi balordi da strada o editorialisti) non possono sopportare è quel sapore di felicità di cui, nell’ormai lontanissimo 1978, Michel Foucault parlava in questi termini: “Se si vedono due omosessuali, o meglio due ragazzi che se ne vanno insieme a dormire nello stesso letto, in fondo li si tollera, ma se la mattina dopo si risvegliano col sorriso sulle labbra, si tengono per mano, si abbracciano teneramente, e affermano così la loro felicità, questo non glielo si perdona. Non è la prima mossa verso il piacere ad essere insopportabile, ma il risveglio felice”.
Sono sicuro, e lo dico come psichiatara, che il primo passo per combattere l’omofobia (sociale e interiorizzata) sia garantire un miglioramento delle condizioni di cittadinanza delle persone omosessuali. Il che significa, senza troppi giri di parole, promuovere leggi che affranchino i gay e le lesbiche dalla condizione di cittadini di serie B, sancita per esempio dal fatto di non potersi sposare e formare una famiglia giuridicamente (e dunque socialmente, psicologicamente, e in ultima analisi simbolicamente) riconosciuta.

Che rapporto c'è tra omofobia sociale e "l'omofobia interiorizzata", ovvero la non accettazione di sé e del proprio orientamento sessuale?
Sono due facce della stessa medaglia. Come gli psicologi ben sanno, pregiudizio e discriminazione, stigmatizzazione e violenza sono tutti fattori misurabili di stress. A dosaggi diversi, una dimensione di stress continuativo, macro e micro traumatico, accompagna lo sviluppo psicologico di quasi tutte le persone gay e lesbiche. A questo fenomeno è stato dato il nome di minority stress, la cui variabile principale è appunto l'omofobia, reale, percepita e interiorizzata.
Il pregiudizio antiomosessuale è così endemico che probabilmente tutti i bambini sono esposti ai suoi effetti, che vanno dalla derisione, alla disapprovazione sociale, all’aggressione. Fin dall’infanzia, dunque, quasi tutti i bambini iniziano a sperimentare stimoli negativi nei confronti delle persone omosessuali. È così anche quando iniziano a diventare consapevoli delle prime manifestazioni del proprio orientamento sessuale. L’eterosessualità viene trasmessa come qualcosa di scontato e obbligatorio, così che l’autopercezione della propria diversità finisce per coincidere con un’idea di sé come sbagliato o addirittura malato. La formazione dell’identità della persona omosessuale avviene spesso in una dimensione in cui si intrecciano, fino a diventare indistinguibili, fattori di natura esterna e di natura interna. Paradossalmente, la consapevolezza e l’accettazione di essere «diversi» possono funzionare da rinforzo a essere «migliori» per essere accettati o almeno non penalizzati: un meccanismo compensatorio dell’omofobia interiorizzata che può essere una delle possibili spiegazioni della spinta all’autoaffermazione che troviamo in alcune persone gay o lesbiche, ma che, seppur «virtuosa», è conseguenza di una convinzione triste: quella di dover «fare più degli altri» per farsi accettare.
Detto questo, ci tengo a dire che oggi, per lo meno in molti contesti sociali e culturali, un adolescente gay o lesbica ha molta meno paura di essere e diventare se stesso, rispetto a 30 anni fa.
Ricerche condotte nei paesi in cui le relazioni omosessuali sono state riconosciute legalmente indicano una riduzione della discriminazione nei confronti delle persone gay e lesbiche, un aumento della stabilità delle loro relazioni, un miglioramento della loro salute fisica e mentale. Tecnicamente, una riduzione del minority stress, cioè del disagio psicologico derivato dal fatto di appartenere a una minoranza discriminata.

A quali ripercussioni psicologiche può andare incontro un ragazzo/a vittima della violenza omofoba?
Il bambino o l’adolescente vittime di bullismo omofobo (identificati come omosessuali o non conformi alle “norme” di genere) possono andare incontro a rischi a breve e lungo termine: comportamenti di ritiro come l’abbandono scolastico, autoemarginazione e isolamento, alterazioni nella sfera affettivo-relazionale, problemi psicosomatici, depressione, ansia, insonnia, comportamenti autodistruttivi fino al suicidio. I diversi modi di reagire all’esperienza traumatica dipendono da vari fattori: prima di tutto la “resilienza” personale (cioè l’insieme di risorse biologiche e psicologiche che rendono un soggetto più o meno attrezzato a fronteggiare il trauma), ma naturalmente anche la presenza di figure in ambito familiare e scolastico capaci di promuovere il senso di sicurezza. E, non ultima, la capacità, da parte di queste figure, di intervenire sul bullismo omofobo non con l’atteggiamento di difendere una vittima “debole”, ma con l’atteggiamento di stigmatizzare un comportamento aggressivo che colpisce l’intera comunità. Al centro dell’attenzione, in altre parole, andrebbe messo più l’aggressore che l’aggredito.
Sulle conseguenze della violenza contro persone omosessuali esiste ormai una consistente letteratura scientifica: Poteat e Espelage esaminano la relazione fra bullismo e omofobia, mostrandone gli effetti in termini di sintomi ansiosi e/o depressivi; Rivers studia gli effetti postraumatici a lungo termine del bullismo omofobico; Balsam, Rothblum e Beauchaine estendono lo studio degli effetti delle aggressioni all’intero arco di vita delle persone omosessuali. Di particolare interesse, nella ricerca condotta in Gran Bretagna da Rivers, è la ricorrenza di sintomi da stress postraumatico in soggetti che hanno subito atti di bullismo omofobico. Alcuni dati: a distanza di circa 15 anni dal primo episodio di bullismo subìto, il 26% dei soggetti riferisce di essere ancora regolarmente disturbato da quel ricordo, il 21% di avere flashback di quegli episodi, il 4% di avere incubi notturni legati a tali esperienze. Dal punto di vista clinico, al 17% del campione potrebbe essere attribuita la diagnosi di disturbo post-traumatico da stress.
Per la prevenzione dei traumi di natura omofobica e per l’aiuto ai gay e alle lesbiche che li subiscono è importante che le istituzioni lottino contro la discriminazione sessuale presente al loro interno e nella società in generale. Sarebbe opportuno che nelle scuole, oltre ai programmi di prevenzione contro il bullismo, venissero introdotti moduli didattici ed esperienziali di educazione alle sessualità e al rispetto delle diversità.
Lo psicologo sociale Luca Pietrantoni, impegnato su questo fronte, dice giustamente che l’omofobia la si può “praticare, ignorare, tollerare o contrastare. Ma è omofobia, ha molteplici origini psicologiche, sociali e culturali … Non chiamarla omofobia è di per sé espressione di omofobia”.
Ma come lei ben sa, nel nostro paese non si riesce nemmeno ad approvare una legge che riconosca come tali i reati commessi «per finalità inerenti all’orientamento o alla discriminazione sessuale della persona offesa dal reato».

Quale può essere l'approccio migliore nei confronti di un ragazzo/a adolescente o più grande che si sente confuso o addirittura "sbagliato" a causa del proprio orientamento sessuale? Quali sono invece gli errori da evitare? E cosa rispondere a un ragazzo che dice: sono gay, voglio guarire?
Sarà uno dei temi del convegno “Omosessualità e psicoterapie” che si svolgerà a Roma il 7 novembre prossimo. In particolare dell’ascolto dell’adolescentre parlerà Gustavo Pietropolli Charmet, presidente dell'Istituto Minotauro di Milano ed esperto di problemi evolutivi in adolescenza.
Il primo errore da evitare, ma questo sempre nella relazione terapeutica, è fornire risposte preconfezionate e basate sul pregiudizio, qualunque esso sia. Lo psicologo deve per prima cosa ascoltare, e capire qual è la rappresentazione mentale ed emotiva che il ragazzo/a ha di sé, dei propri desideri e della propria sessualità. Promuovere un “ascolto rispettoso”, mirato a comprendere insieme le motivazioni del disagio, le ragioni della domanda, favorendo così un’integrazione psichica, e poi sociale, il più possibile autentica. Interrogare il significato personale e familiare di queste rappresentazioni. Esplorare cosa sottende il desiderio di diventare “eterosessuale”: quali paure, quali certezze infrante, quali aspettative deluse. La paura di deludere i genitori? Di non poter essere mai felice? Di non poter formare una famiglia?
Non dimentichiamo il clima familiare e sociale che il più delle volte accompagna le persone omosessuali nella costruzione delle proprie identità. Accettarsi e volersi bene è un cammino lungo. Chi offre, promette e, peggio ancora, sottointende la possibilità di un riconversione “terapeutica” dell’orientamento sessuale contravviene al precetto ippocratico “primum non nocere”.
Esiste una forma di omofobia, meno visibile di quella “sociale”, ma altrettanto pericolosa: l’omofobia interiorizzata, cioè quel groviglio di idee e di affetti che porta una persona omosessuale a non accettarsi, a provare vergogna di sé, a disprezzarsi o, più semplicemente, a sentirsi “senza le carte in regola”. Da qui, spesso, prende le mosse la domanda di “guarigione dall’omosessualità”.

Sta facendo riferimento alle cosiddette “terapie riparative”?
Sì, anche se non le considero terapie. Nel senso che non sono interventi che promuovono la salute del paziente. Anzi. La comunità scientifica internazionale si è espressa in modo molto chiaro su questo tipo di approccio, peraltro non sostenuto da una letteratura scientifica in grado di dimostrarne l’efficacia.
Non stupisce che vi siano persone omosessuali che non si accettano e sognano una vita eterosessuale. Stupisce che vi siano medici e psicologi che ancora “promettono” questo cambiamento.
Per questo, l’American Psychiatric Association, l’American Psychological Association e molte altre società scientifiche e professionali hanno in questi anni prodotto documenti (per esempio il Position statement on therapies focused on attempts to change sexual orientation) in cui viene disconosciuto qualunque trattamento basato sull’assunto che l’omosessualità in quanto tale sia un disturbo mentale, e mirato a indurre il/la paziente a modificare il proprio orientamento sessuale. L’assenza di risultati scientifici rigorosi sulle terapie riparative e i dati di una letteratura essenzialmente aneddotica impongono, sostengono questi documenti, di astenersi dalla conduzione di interventi di “riconversione” sessuale. Proprio questo agosto, l'American Psychological Association ha ribadito la propria posizione contro le terapie riparative, opponendosi anche a “tutte le forme di distorsione o uso selettivo dei dati scientifici riguardanti l'omosessualità da parte di individui e organizzazioni che tentano di influenzare la politica e opinione pubblica” (2009, p. 122). Piuttosto, vengono raccomandati interventi terapeutici mirati a favorire la comprensione dello stigma sociale e ad aiutare i clienti/pazienti a superare la propria omofobia interiorizzata.
Eppure, il trattamento riparativo o, più in generale, trattamenti che con denominazioni diverse si propongono l’obiettivo di “convertire” l’omosessualità in eterosessualità, sono ancora pubblicizzati e, inevitabilmente, richiesti. Peggio ancora quando l’intento riparativo non assume alcuna denominazione esplicita, ma viene veicolato implicitamente dal pregiudizio del clinico e delle sue opinioni in tema di sessualità. È chiaro che ciò di cui sto parlando non è il percorso, spesso imprevedibile, che, in presenza o meno di una psicoterapia, porta un soggetto ad attraversare i territori impervi delle sessualità alla ricerca della propria “verità”. Etero e omosessualtà non sono categorie fisse e immodificabili. Cio di cui sto parlando è la domanda, spaventata e incerta, di chi teme ciò che già intuisce o conosce di sé, ma chiede di essere aiutato a “guarire” da una malattia che tale non è.
Fatte queste considerazioni, va detto che le terapie riparative naufragano sugli stessi scogli di tutti i trattamenti che incoraggiano i pazienti a fondare su un’autorità esterna le proprie scelte di vita. Queste terapie infatti, rinforzano solo un lato del conflitto del paziente e lo agiscono, anziché esplorarlo, nel rapporto interpersonale con il terapeuta. Un terapeuta che prende parte alla lotta che un paziente conduce per stabilire la propria identità sessuale è probabile che rinforzi le tendenze dissociative anziché quelle integrative. La testimonianza di molti pazienti sottoposti a terapia riparativa ci informa sul senso di finzione che permea la vita di persone omosessuali che cercano di vivere come se fossero eterosessuali nella speranza che questo cambi davvero il loro orientamento sessuale.

Vittorio Lingiardi - Psichiatra e psicoanalista, Professore ordinario di “Psicopatologia generale” e di “Valutazione clinica e diagnostica”, presso la Facoltà di Psicologia 1 dell’Università di Roma “Sapienza”, dove dirige la Scuola di Specializzazione in Psicologia Clinica. Per Raffaello Cortina Editore dirige la collana “Psichiatria, Psicoterapia, Neuroscienze”. Tra i suoi libri: I meccanismi di difesa (Milano, 2002); L’alleanza terapeutica (Milano, 2002); Compagni d’amore (Milano, 1997; Chicago, 2002); La valutazione della personalità con la SWAP-200 (Milano, 2003, con D.Westen e J.Shedler); The Mental Health Professions and Homosexuality: International Perspectives (New York, 2003, con Jack Drescher); La personalità e i suoi disturbi (Milano, 2004); La ricerca in psicoterapia: strumenti e modelli (Milano, 2006, con N.Dazzi e A.Colli); Citizen Gay. Famiglie, diritti negati, salute mentale (Milano, 2007); La diagnosi in psicologia clinica: personalità e psicopatologia (Milano, 2009, con N.Dazzi e F.Gazzillo). Ha pubblicato numerosi articoli su riviste internazionali ed ha curato le edizioni italiane di importanti volumi di psichiatria, psicologia, psicoanalisi. Con l’articolo Psychoanalytic attitudes towards homosexuality: An empirical research (International Journal of Psycho-Analysis, 85, 2004, pp. 137-158; con P.Capozzi) ha vinto il 2004 Paper Award dell’American Psychological Association.