venerdì 4 settembre 2009

Italiani, brutta gente nella terra di Videocracy


Ressa al Lido per il film sulla tivù privata, forfait di Corona
FULVIA CAPRARA
INVIATA A VENEZIA
Tutto iniziò così, in una delle prime tv commerciali... Usavano questo bar come uno studio tv, facevano indovinelli, se la risposta era esatta una casalinga cominciava a spogliarsi... Arrivavano un sacco di proteste dalle fabbriche vicine, gli operai stavano svegli fino a tardi per guardare». Comincia così la favola nera di Erik Gandini, documentarista italiano cresciuto in Svezia che in Videocracy (ieri alla Mostra e da oggi in sala) descrive l’ascesa al potere delle tv commerciali e del loro presidente, Silvio Berlusconi. Nessun pistolotto politico, nessuna intervista a sociologi o esperti, solo immagini inquietanti, tratte dagli archivi. Più che un documentario, Videocracy sembra la cronaca di un incantesimo collettivo, il popolo italiano soggiogato da una pozione magica che fluisce dal televisore di casa.

Dagli strip delle signore si passa alle serate in topless di Colpo grosso, alle scollature generose di Drive in, all’esibizione continua di tanga, seni, sederi. «Trent’anni dopo - spiega la voce fuori campo - la tv del presidente si è moltiplicata, trasformandosi in un impero mediatico e il presidente della tv è diventato anche il presidente dell’Italia». La voglia di apparire è la benzina di tutto. La signora in sovrappeso si sveste in un trionfo di cellulite, la ragazzina taglia 38 sculetta come una marionetta stonata, le veline in tour si agitano volenterose.

Lele Mora è un Virgilio con il sorriso stampato sulla faccia: «Se c’è qualcuno che può trasformare i sogni in realtà è lui». Vestito di bianco, nella stanza bianca della villa bianca affacciata sul mare di Sardegna, mostra il suo zoo di tronisti e reduci del Grande fratello: «Prendo persone che non sono nessuno, le faccio crescere e diventare persone dello spettacolo». Mora conosce il valore della riconoscenza: «A Berlusconi devo parecchio, è un grande leader, un grande uomo...». Ma l’amore vero si chiama Benito Mussolini, la prova è nel cellulare. Il manager fa ascoltare la suoneria con Faccetta nera mentre sul display scorrono immagini del Duce, fasci littori, simboli nazi: «Hai visto che carino?». Fuori c’è la Costa Smeralda, con il suo perenne carosello, «un sito di pellegrinaggio dove tutti sono impegnati a scattare fotografie». C’è Briatore accolto da urla di fan e c’è la signora Marella, vicina di casa del premier, fotografa appassionata. Nel suo archivio sono immortalati prsonaggi come Putin, Blair, i figli di Gheddafi. E poi naturalmente il presidente, con la celebre bandana in testa: «Lui è naturale, è quello che è, ama la vita, ama le cose belle, si diverte».

Fabrizio Corona è il mattatore della seconda parte del film. Entra in scena al momento dell’arresto, esce a pochi minuti dalla fine, dopo una lunga sequenza che lo ritrae sotto la doccia e poi, con muscoli e tatuaggi bene in vista, mentre si cosparge di crema, si veste, si raccoglie i capelli nel codino, si spruzza la lacca. In mezzo c’è la sua parabola al nero, illuminata da massime celebri: «Sono diventato un simbolo, un po’ come Scarface. Un Robin Hood moderno che ruba ai ricchi per dare a se stesso». Oppure: «Sono convinto che in Italia non esista nessuna coppia fedele». E ancora: «L’unico vantaggio della politica è che se ti eleggono hai l’immunità parlamentare, puoi fare tutti i reati che vuoi e non vai in galera». Corona svela la meccanica degli affari sporchi, foto vendute e ricomprate, perfino «la videocamera per riprendere la moglie in tribunale durante la causa di separazione». Corona, attesissimo alla proiezione, non si è fatto vedere, deludendo la vera folla che ha preso d’assalto la sala. Tanto che si è resa necessaria una proiezione supplementare.

Gandini dice che i «suoi amici svedesi ridono vedendo quello che succede in Italia». L’impressione, aggiunge, «è che qui divertirsi sia una religione, l’unica cosa che conta per gli italiani. Ho pensato, mentre giravo, che si poteva rovesciare quella definizione. Nel mio film, invece della banalità del male, c’è la malvagità del banale». Eppure non bisogna essere pessimisti. Anzi: «Le cose cambieranno, l’Italia è un Paese fantastico, il futuro lo decidiamo noi».

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